Il Teatro Sociale di Stradella in provincia di Pavia, giovedì 29 Febbraio, ha ospitato Sua Eminenza il Cardinale Bagnasco per parlare di “Valori civili ed educazione alla vita: la sfida educativa” agli allievi dell’Istituto Aeronautica U. Maddalena di La Spezia, dell’Istituto di Istruzione Superiore Faravelli e dell’ Opera Diocesana della Preservazione della Fede (Odpf) scuola di formazione Santa Chiara.
Riportiamo qui di seguito il testo della Lectio Magistralis “Valori civili ed educazione alla vita: la sfida educativa”:
Sono lieto di essere qui e ringrazio per il gentile invito. Incontrare dei giovani è per me sempre motivo di gioia, di affetto e di trepidazione, perché mi chiedo se riuscirò a dire qualcosa che li aiuti nella avventura della vita.
La vita, invero, è come una partita ma senza rivincita: si vince o si perde, si vive o si sopravvive, e tutti vogliano vincere: lo dobbiamo volere perché la vita è un dono troppo grande e bello. E’ dono di Dio! Nessuno ne è padrone assoluto, ma ne è responsabile davanti al Signore, a se stesso, agli altri: ognuno, infatti, si riceve dalle mani di Dio come un dono per se e per tutti, siamo legati gli uni agli altri, siamo un bene per noi e per tutti, per il mondo. Sprecare la vita è buttar via se stessi.
In linea con il titolo, parto dalla Costituzione Italiana. L’art. 2 così recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. In queste parole è descritto ciò che siamo e come vivere per essere persone. Da qui comincia la nostra riflessione che dovrebbe toccare il pensiero, la libertà, l’amore; ma, per ragioni di tempo, toccherà solo i primi due punti..
1. Tornare al pensiero
Oggi spesso si ripetono degli slogan anziché argomentare: lo slogan afferma una tesi senza motivare, mentre il pensiero ragiona portando argomenti. E questo non è facile, bisogna imparare.
Ecco la prima sfida educativa, e la scuola ne è il luogo privilegiato. Di fronte ad ogni affermazione è necessario chiedersi il perché, cercare le giustificazioni, cogliere i nessi, vederne la logica. Ciò richiede impegno, pazienza, fatica, tempo: tutto ciò contrasta con la mentalità corrente che rincorre la velocità e la minore fatica.
Bisogna tornare alla realtà reale e resistere alla schiavitù del virtuale che crea un mondo inesistente, che illude con rapporti finti. Il reale non è quello che noi pensiamo o vogliamo, tanto da sopprimerlo negandolo o distruggendolo quando non corrisponde alle nostre attese. Purtroppo, si vede spesso nella cronaca che rivela la crescente fragilità della ragione e della emotività. Non per nulla si parla di “pensiero debole”, e potremmo aggiungere di “emotività debole”:
Oggi la verità, da cercare con fatica e da riconoscere con umiltà, è sostituita dall’ opinione individuale: la percezione prevale spesso sull’ apprendimento delle cose, per cui non è vero ciò che mi viene incontro dall’esterno, con la sua densità e a volte durezza, ma è vero quello che mi sembra vero, ciò che io sento e ciò che mi gratifica. E’ il primato dell’ individuo sulla persona: l’individuo è chiuso in se stesso, è come l’ombelico del mondo. La persona, invece, è aperta, va oltre sé, va incontro a ciò che è oggettivo, che non dipende dalla sua percezione individuale, ma che si offre allo sguardo della conoscenza la quale è una forma di relazione.
A ben vedere, la modernità ha progressivamente sfiduciato la ragione come capacità di conoscere il vero: l’interesse si è progressivamente spostato dall’oggetto conosciuto al soggetto conoscente, col risultato che si esalta la ragione positivista che consoce il mondo materiale nell’ambito scientifico e tecnologico, mentre è stata sfiduciata la ragione riflessiva, cioè quella si interroga e indaga le realtà immateriali, il senso della vita, i valori morali, quel mondo cioè che, pur essendo spirituale, è più forte di ogni armamento. A questo livello, l’idea è che ognuno debba decidere da solo perché non esistono verità e valori universali. E’ la porta del relativismo etico che rende difficile la coesione sociale, e fa crescere la solitudine dell’ individuo.
Tornando alla Costituzione, si parla di diritti inviolabili che nessuno può manomettere, e che Papa Benedetto chiamava “non negoziabili”, cioè che non possono essere barattati o manipolati per nessun motivo e da nessuno, singolo, gruppo, Stato. Perché questa assoluta inviolabilità? Perché violare questi diritti significa violare l’uomo nella sua carne e nel suo spirito.
2. Imparare la libertà
Dobbiamo imparare ad avere un pensiero critico non per sentirci superiori, ma per essere veri e quindi consapevoli e liberi, senza polemica ma convinti. Oggi scarseggia la coscienza critica, si tende a pensare secondo l’opinione comune, si ha paura della critica se si pensa fuori dal coro, si teme di essere isolati. Dobbiamo invece imparare a giudicare nella verità, come già Heidegger affermava mettendo in guardia dall’ uniformarsi a quel “si dice, si pensa, si fa”, che genera una vita impersonale, grigia e pigra: “inautentica”, come lui diceva.
Liberi si nasce, ma liberi si diventa. Anche questa – come il pensiero – richiede impegno e coraggio. Infatti, la libertà non è fare ciò che si vuole, ma ciò che si deve. Oggi la libertà è sostituita dalla scelta, e la volontà prevale sulla verità: oggi una scelta sembra valere l’altra basta che sia senza costrizione, a prescindere da ciò che si sceglie. “E’ una mia scelta”, si dice: e con ciò tutto diventa equivalente.
Ma la libertà è scegliere il bene, poiché solo il bene fa bene, e il bene morale è ciò che corrisponde a ciò che siamo come persone e che quindi ci fa crescere nella nostra umanità, ci dà sostanza interiore, ci rende nobili e quindi belli.
Ciò significa che siamo liberi quando scegliamo la verità di noi, degli altri, delle cose, coscienti che non sempre il bene accarezza gli istinti, e mai interessi meschini.
3. Imparare la fede
La religione cosa c’entra con l’educazione? E che cosa vuol dire?
“C’entra perché l’uomo è un essere religioso. Ho detto prima che nessuno si pone nel mondo, ma è posto da altro. Inoltre, vi è l’universale esperienza dell’ inquietudine umana, la sua continua ricerca di felicità e di amore, di libertà e di luce. Tutto questo è la firma di Dio in noi, il richiamo a ciò che siamo: creature d confine fra terra e cielo, tra finito e infinito. Ognuno, a qualunque età, è abitato dalla sottile nostalgia di una pienezza che gli sfugge, e che può solamente invocare dall’alto. Per questo, l’uomo è un essere religioso, un pugno di argilla proteso vero il cielo, il divino.
Solo Dio è quell’oltre da cui proveniamo e verso cui andiamo, che ci accompagna, ci sostiene e ci rialza. Gesù di Nazaret è il Volto di Dio, è il suo Amore, è la sua Parola che ci rivela perché e come vivere nella verità e nel bene. Giovenale scriveva: “Considera un crimine perdere, per salvare la vita, le ragioni del vivere”.
Nietzsche aveva dichiarato la “morte di Dio” e l’avvento dell’superuomo, cioè dell’uomo superiore, senza Dio; “l’uomo è una fune tesa sopra l’abisso (…) Ciò che lo rende grande è non essere uno scopo ma un ponte (…) l’uomo è un passaggio, un tramonto”; e ancora: “Dio è morto, viva il superuomo!” (Così parlò Zarathustra).
La modernità ha progressivamente abbracciato questa visione, volendo sostituire Dio con l’io dell’uomo. Ma qual è il risultato? Lo indica con cruda chiarezza M. Foucault: “Nietzsche, più che il profeta deal morte di Dio, è il profeta della morte dell’uomo”! L’uomo oggi è forse più felice e le società più solidali di ieri? Un’indagine europea sul mondo giovanile rileva che il sentimento prevalente è l’angoscia, lo smarrimento, Anche Bauman, nel suo studio “Retrotopia”, mette a fuoco il senso di incertezza delle giovani generazioni verso il futuro, dove non vedono certezze e punti di riferimento. L’angoscia non riguarda innanzitutto il mondo esterno, ma il mondo interiore, poiché da lì nascono la fiducia, la forza e il coraggio per affrontare difficoltà vecchie e nuove senza darsi a fughe illusorie e mortali.
Cancellare Dio dal proprio orizzonte significa cancellare l’orizzonte stesso, perdere la nostra identità profonda e la direzione di marcia: chi sono, dove andare, perché?
Tra le altre sfide, chi vincerà la sfida della tecnologia? Romano Guardini, nel 1950, si chiedeva chi avrebbe vinto la sfida del “potere”: l’uomo, o la macchina creata dall’uomo? Ad ognuno la risposta, tanto più di fronte alla cosiddetta “intelligenza artificiale”. Nessuno nega il valore del progresso tecnologico – basta pensare, ad esempio, al suo impiego nell’ ambito sanitario -, ma che dire della crescente dipendenza da questi strumenti? Della illusione di essere in relazione perché si è continuamente connessi? Della dispensa dalla concentrazione perché tutto – scritto o letto – dev’essere breve e veloce? Della indotta povertà di linguaggio, e della illusione che la quantità di informazioni faccia cultura? Che dire di facilitazioni crescenti che esonerano dalla personale ricerca, nonché dalla fatica e dalla soddisfazione di scrivere testi propri?
Il cosiddetto “trans umanesimo”, che evoca il “superuomo” di Nietzsche, è dunque in atto. Che fare? Non abbiamo pura, ma dobbiamo essere consapevoli e agire di conseguenza: sapere che si può anche morire di comodità, e che la dipendenza dalla macchina – non l’uso responsabile – non solo condiziona, ma rafforza una società di sorvegliati, e amplifica il controllo globale. Senza dire che ormai è chiaro che sarà sempre più difficile – quasi impossibile – distinguere il vero dal falsificato con immagini, situazioni, parole, voci, costruite ad arte. Un segno interessante viene dal processo avviato dalla Amministrazione di Nework contro alcuni magnati del settore.
Chiudo con alcune parole di Norberto Bobbio, filosofo contemporaneo non credente del secolo scorso: “Il compito della filosofia è quello di tenere in vita le grandi domande, perché impediscano agli indifferenti di diventare preda del fanatismo di pochi (…) Proprio perché le grandi risposte non sono a portata della nostra mente, l’uomo rimane un essere religioso nonostante tutti i processi di demitizzazione, di secolarizzazione, tutte le affermazioni della morte di Dio (…) La religione c’è, perché c’è? Perché la scienza dà risposte parziali e la filosofia pone solo delle domande senza dare le risposte” (Che cosa fanno oggi i filosofi, Bompiani 1982).
didascalia: in primo piano da sin. il Col. Maurizio Daniele, il Card. Angelo Bagnasco e gli studenti dell’Istituto Aeronautico U. Maddalena di La Spezia