Suor Alma Castagna, nata a Lecco, ha vissuto l’infanzia l’ adolescenza “all’ombra del Matitone”. Entra nelle Figlie di Maria Ausiliatrice (salesiana) nel 1984 e nel ’92 arriva a Timor, durante l’occupazione indonesiana. Per circa 20 anni ha lavorato in un piccolo ambulatorio rurale a 150 km dalla capitale, e poi ha avuto incarichi nella provincia (segretaria ed ora superiora provinciale).
Ha concesso un’intervista a Resegoneonline per raccontare la sua esperienza di missionaria a Timor.
Come si svolge la sua giornata?
È difficile dire una giornata tipo, perché come animatrice/superiora delle comunità delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Timor ed Indonesia sono spesso in viaggio, visitando le comunità e quando sono in sede, ci sono incontri della Diocesi, dei religiosi, o dei giovani, o persone che vengono a parlare. Diciamo che la giornata, in qualsiasi luogo mi trovo, inizia con la preghiera delle Lodi, la meditazione e, nei luoghi dove è possibile, la Messa; così come, normalmente, la giornata finisce con i Vesperi ed il Rosario con la comunità. Quello che sta in mezzo dipende dalla comunità in cui sono, dalle persone che vivono lì, dalle opere che hanno e dalle attività varie che svolgono.
Che cosa le hanno insegnato gli anni trascorsi come missionaria nel Sud-Est asiatico?
A ringraziare per tutto quello che ho ricevuto nella mia vita: vivere in una nazione libera, in una città con delle montagne incantevoli, poter andare a scuola, avere amicizie, andare all’oratorio, avere delle persone che si prendono cura di te, della vita materiale, ma anche del cammino spirituale… tutte cose che prima di venire qui mi sembravano scontate, “normali”. In questi anni mi sono accorta che nulla è scontato, che molto di quanto ho vissuto in Italia è stato una grazia e continua ad essere una ricchezza a cui attingere. Vivere con persone che non hanno queste possibilità o che per averle devono impegnarsi molto, mi ha fatto capire quanto superficialmente si può vivere il dono della vita di ogni giorno.
Come è vista la Chiesa nei Paesi poveri?
Parlando di Timor, la Chiesa ha avuto una parte determinante nel processo di liberazione del Paese, e questo le viene riconosciuto da tutti. Le persone, durante l’occupazione indonesiana, sentivano che la Chiesa era una delle poche “organizzazioni” che si prendeva cura dei loro diritti e soprattutto che non faceva questo dall’esterno, ma sacerdoti, religiosi/e, catechisti vivevano inseriti nella stessa realtà e quindi partecipavano in prima persona alle loro sofferenze. Ora, per i giovani che non hanno vissuto questa esperienza, il desiderio è di partecipazione, si sta facendo un cammino di sinodalità, coinvolgendo laici, famiglie e giovani, per cui, piano piano cresce la consapevolezza che “la Chiesa sono io”. D’altra parte non si può dimenticare che più del 90% dei timoresi è cattolico, anche se con livelli di preparazione differente, e quindi risulta, forse un po’ superficiale l’eguaglianza Timor = Chiesa.
Ancor più difficile è parlare di questo per l’Indonesia, dove la molteplicità delle realtà nelle varie isole, rende difficoltoso fare un discorso unitario. Per esempio, nell’isola di Sumba, dove abbiamo due comunità, la popolazione si divide in modo quasi uniforme tra cattolici e protestanti, ma mentre una comunità vive in un paese dove la collaborazione fra le due confessioni è molto forte, nell’altra ci sono ancora residui di competizione e separazione fra loro.
Lei crede che il grido dei poveri sveglierà le coscienze dei cristiani o rimarranno solo un problema che dovrà gestire la Chiesa?
Come ho detto, il cammino che si sta facendo è di rendere consapevoli che “io sono la Chiesa”, ed in Jakarta i cattolici laici, una minoranza assoluta rispetto alla popolazione della città, sentono che loro sono Chiesa, perciò il grido dei poveri tocca ciascuno ed è un problema che si cerca di affrontare insieme; tra l’altro in Jakarta l’attenzione ai più poveri è vissuta senza distinzione di religione.
A volte il pensiero comune, anche in Timor, è che se c’è una necessità si inizia a chiedere al parroco o a qualche religioso, nella convinzione che loro hanno maggior accesso alle risorse, ma il problema dei poveri investe tutti i cristiani.
Esiste un segreto per affrontare la vita missionaria?
Non penso ci siano “pozioni magiche” che ti permettono di vivere in un Paese diverso da quello in cui sei nata, annunciare la presenza di Dio prendendosi cura dei fratelli con meno possibilità delle tue… anche perché le realtà in cui si va a vivere sono molto diverse, a volte con pochissime risorse, a volte con maggiori possibilità. Una cosa importante è cercare di capire le persone con cui si vive ed accettarle, senza fare confronti con la propria cultura e le proprie conoscenze, senza credere di avere dei vantaggi su di loro.
Importantissimo poi è imparare la lingua del luogo, perché permette un contatto con i più poveri, con le persone che non hanno potuto studiare.
Lei convive con la povertà tutti i giorni. Quali sono gli effetti più devastanti?
Qui a Timor penso che l’aspetto peggiore della povertà sia l’ignoranza o perlomeno un’offerta educativa molto bassa. In tutti i villaggi esistono scuole (edifici), ma non sempre il personale docente è preparato e ha conoscenze pedagogiche. Si crea così un dislivello tra coloro che possono accedere ad una buona educazione (normalmente nella scuole private) e coloro che si accontentano di qualche anno di scuola elementare, per poi aiutare nei campi, o che vanno fino alla conclusione degli studi, ma con un apprendimento carente. Esiste anche la povertà economica, ma forse solo nella periferia della capitale si trova miseria, perché negli altri luoghi, comunque le persone hanno un pezzo di terreno da lavorare, anche se spesso il rendimento è piuttosto scarso, e quindi riescono ad avere del cibo. A volte l’impoverimento è causato da tradizione o superstizioni che obbligano le persone ad indebitarsi, come nei casi di matrimoni o funerali.
Secondo lei, gli emarginati sia che vivono nel Sud-Est asiatico o nel ricco Occidente hanno tratti in comune o sono due realtà diverse?
Sinceramente non saprei rispondere: da 31 anni vivo a Timor e ho perso la conoscenza diretta di quanto capita in Occidente. Credo comunque che siano realtà diverse, perché partono da presupposti ed opportunità diverse.
didascalia: Suor Alma con alcuni bambini di un oratorio di Cassa, comunità aperta lo scorso anno in un villaggio in cui non esisteva nessuna presenza religiosa