Settimana sociale di Trieste. Niente di buono da aspettarci

Pubblichiamo articolo del direttore dell’Osservatorio Internazionale Card. Van Thuan, Stefano Fontana, che ringraziamo per la gentile concessione, sulla 50° settimana sociale dei cattolici italiani.

di Stefano Fontana – Dal 3 al 7 luglio prossimi si terrà a Trieste la 50ma Settimana sociale dei cattolici italiani. Il nostro Osservatorio ha già espresso alcune valutazioni sui documenti e gli incontri preparatori dell’evento, nonché sulla nuova impostazione che oggi viene data alle Settimane sociali. In calce a questo articolo il lettore può trovare l’elenco di questi nostri interventi. Qui mi permetto di sottolinearne almeno due: la pubblicazione di un numero monografico della nostra rivista, il “Bollettino della Dottrina sociale della Chiesa”, dedicato a Democrazia, forma di governo e non fondamento del governo, e il convegno che terremo a Trieste il 6 luglio prossimo dal titolo “La democrazia: cattolicesimo politico e dogma liberal-democratico”.

Le ultime e più recenti Settimane sociali hanno sposato una visione progressista molto unilaterale ed esclusivista. Anche questa di Trieste sembra impostata a senso unico. È stato fatto notare [vedi qui] che una gran quantità di relatori e coordinatori dei lavori alla Settimana sociale di Trieste hanno strutturali relazioni con un partito, il Partito Democratico, il che ci dice che ne condividono l’impostazione generale che contrasta con i principi della Dottrina sociale della Chiesa, nonostante oggi le autorità ecclesiastiche sostengano che si può e si deve collaborare con tutti. Punto, questo, decisamente insostenibile, a meno di invertire il rapporto tra mezzi e fini, caposaldo della morale sia naturale che cattolica. Il cardinale Matteo Zuppi, in una prefazione ad un libro sulla politica pubblicata sul Corriere della Sera del 23 giugno, ha fatto due esempi a senso unico di cattolici impegnati in politica: don Giuseppe Dossetti e David Sassoli: per la CEI altre impostazioni non esistono. Gli incontri preparatori alla Settimana sociale, sia quelli organizzati a Trieste dal vescovo diocesano [si vedano in calce le cronache di Silvio Brachetta] sia quelli a carattere nazionale, sono stati coordinati da uomini chiaramente di area progressista e perfino da esponenti del Partito Democratico già ricordato sopra. Segnalo questi aspetti solo apparentemente collaterali perché confermano quanto si legge nei documenti preparatori e fanno prevedere come saranno condotti i lavori: si andrà verso una piena legittimazione della democrazia liberale alla quale i cattolici saranno chiamati a partecipare comunque, indicando nella partecipazione il “cuore” della democrazia. Il che, come è facile capire, non ha molto a che fare con la Dottrina sociale della Chiesa.

La partecipazione non ha un valore di per se stessa, ma è validata dai fini che si propone e dai contenuti che approva e incarna. La visione liberale della democrazia sostiene che è la partecipazione a stabilire i fini, mentre la visione cattolica dice che sono i fini a stabilire la partecipazione. Così la fede cattolica non avrà nulla da dire alla democrazia se non invitare i fedeli alla partecipazione perché sarà la democrazia a dire alla Chiesa cosa e come fare e non il contrario. Lo stiamo vedendo da tempo sulle principali tematiche in agenda. Per questo si prevede che la Settimana sociale di Trieste assumerà la democrazia come un dogma per cui ciò che non è partecipato non vale nulla. Non sentiremo a Trieste nessun richiamo agli aspetti totalitari della democrazia liberale moderna ed attuale, né risuoneranno le gravi parole di Giovanni Paolo II a questo proposito. Nessuno dirà che la democrazia moderna dimostra spesso un volto totalitario in quanto pensa se stessa come un metodo che coincide con il contenuto, un mezzo che coincide con il fine. Basta che una legge o una politica siano frutto di consenso democratico perché siano da considerarsi valide.

Nella fase preparatoria, e si suppone anche nel corso dei lavori della Settimana sociale, si è partiti dalla partecipazione in atto, ossia dalle cosiddette “buone pratiche” e da esse si è cercato di far emergere i valori condivisi. Ma come è possibile valutare come “buone” certe pratiche ed escluderne altre come “cattive” senza partire da principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive d’azione previ a quell’esame? Non può essere la prassi a dare i criteri alla teoria perché il fare non contiene il proprio perché e l’effettualità esprime un esserci privo di senso. Del resto, se la partecipazione è il cuore della democrazia, i valori emergeranno dalla partecipazione e non il contrario. Questo richiede però che i cattolici si diano da fare insieme a tutti gli altri, ma senza indicare criteri e finalità previe alla partecipazione stessa che verrebbero intesi come “dogane dottrinali” e steccati che impediscono l’integrazione di tutti nella partecipazione democratica. Ci si attiene così alla democrazia “procedurale” secondo la quale il metodo fa il contenuto e la forma diventa sostanza. La democrazia verrebbe prima di qualsiasi valutazione della democrazia.

Staremo a vedere se durante i lavori della Settimana si parlerà di Gesù Cristo al di fuori delle celebrazioni liturgiche. Io penso di no, perché non se ne è mai parlato nemmeno nella fase preparatoria. Vedremo … Possiamo intanto essere sicuri che non si parlerà di Dottrina sociale della Chiesa, come non se ne è parlato alle Settimane di Cagliari e di Taranto. La democrazia, vista tramite l’immagine-slogan di essere tutti nella stessa barca, diventa un apriori esistenziale, una dimensione di vita che precede e dà senso a tutto il resto, piuttosto che riceverne. Essa diventa il “mondo” a cui anche i cattolici appartengono prima di essere cattolici e, soprattutto, insieme a tutti, tutti, tutti.   

didascalia: Stefano Fontana – direttore Osservatorio Internazionale Card. Van Thuan

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