Giovani e lavoro, lavoro e giovani. Due rette chiamate a incrociarsi sempre meglio rimuovendo ogni ostacolo al pieno sviluppo della persona sulla scia di quanto dispone il dettato costituzionale. Questione non soltanto di rispetto del diritto, ma anche, e prima ancora, della dignità dell’uomo. Il concetto è emerso con nitidezza nel discorso tenuto sul tema dal presidente della Cei, monsignor Matteo Zuppi, all’Università Cattolica promosso dall’ateneo congiuntamente all’Inps. “La previdenza – è stata la sua prima sottolneatura – richiede sempre una visione per sfuggire al presente e allargare lo sguardo alle generazioni future, è la tirannia della prestazione, dell’affermaione di sè e della verifica di questa che dobbiamo combattere”.
Monsignor Zuppi ha evidenziato come terreno fertile per far lievitare sempre di più la civile convivenza sia la capacità di non demonizzare lo straniero e di “far funzionare un sistema d’accoglienza e di integrazione degno di uno dei paesi più ricchi al mondo e che vuole guardare al suo futuro e non solo alla sua conservazione”. Il presidente della Cei rafforza il concetto facendo riferimento al rapporto Inps e mettendo a fuoco alcuni concetti chiave. Il primo di essi è il “dialogo intergenerazionale” che, dice, porta a considerare come “la questione giovani riguarda gli adulti e la loro capacità di interagire con la mentalità, la cultura e le innovazioni sociali che provengono dal mondo giovanile”. Vi sono poi quelle che Zuppi definisce “ferite sanguinanti” documentate dalla situazione dei cosiddetti Neet, giovani che non studiano nè lavorano di età compresa tra 15 e 34 anni. “Anche se la quota di coloro che hanno tra i 20 e i 24 anni e non hanno un lavoro nè frequentano un corso di istruzione e formazione è diminuita dal 32 al 21 per cento – fa notare Zuppi – vi è un disallineamento tra domanda e offerta che riguarda circa un giovane su due”.
Allarmanti, e da non sottovalutare, sono anche i dati concernenti i giovani tra i 20 e i 29 anni con il 31 per cento di Neet tra le donne e il 20 per cento degli uomini, come evidenziato dal rapporto Ocse Education. Così come da tenere in evidenza, rimarca Zuppi, è anche quel 20 per cento di giovani tra 25 e 34 anni senza titolo di studio nella scuola secondaria che si colloca sopra la media Ocse del 14. Elemento su cui indubbiamente innescare una riflessione che apra a percorsi migliorativi virtuosi è anche il dato sul 18 ,3 per cento della disoccupazione giovanile. Sul lavoro giovanile è quindi chiamata a concentrarsi l’attività politica e sociale al fine di promuoverlo efficacemente come elemento di autorealizzazione e di contributo al consorzio sociale a cui si appartiene. “Il fenomeno del mismatch – evidenzia ancora Zuppi – rappresenta un costo enorme per l’economia , stimato in 44 miliardi di Euro nel 2023, pari al 2,5 del prodotto interno lordo nazionale, secondo i dati diffusi da Yliway, e il fenomeno paradossale sta nel fatto che il lavoro c’è, ma mancano i lavoratori con le competenze adeguate”. Il problema diventa allora anche, sostiene Zuppi, di far parlare sempre meglio mondo della formazione e universo del lavoro rimuovendo i corti circuiti di mancanza di adeguato collegamento. E’ anche a partire da questo che, sottolinea, l’Italia potrà forse affrancarsi da quello scomodissimo secondo posto per numero di Neet che detiene in Europa alle spalle della sola Romania. Ma tutto questo comporta anche un affrancamento dalle soluzioni ideologiche che si ergono come muri a ostacolo di una vera politica d’accoglienza.
“A forza di chiudere sulla cittadinanza- sottolinea Zuppi – queste politiche non consentono percorsi di integrazione sani e capaci di portare benefici alla societàe all’economia, mentre l’integrazione va pianificata e non può avvenire in modo casuale”. Un’altra sfida da non perdere di vista concerne la capacità di saper leggere adeguatamente le trasformazioni culturali avvenute e in atto. “Non possiamo ignorare queste trasformazioni – sottolinea Zuppi – in atto nel mondo del lavoro e nella fascia giovanile della popolaione, l’Italia è segnata da una serie di aziende che minacciano la chiusura per i costi del lavoro, con il rischio di aumentare la guerra dei poveri”. L’impegno comune, che chiama a raccolta in primo luogo la comunità cristiana, è di “avere chi sia capace di dare priorità ai problemi sociali piuttosto che agli interessi individuali con l’attuale cambio culturale che richiede di abitare la complessità e di ragionare in termini di sicurezza sul lavoro per combattere anche le forme di nero e illegalità, su questi punti si deve e si può lavorare, ci aspetta un compito educativo di ampio respiro, capace di valorizzare le persone mettendole al centro di un progetto di rinascita”.