Leoni: il federalismo meglio di qualsiasi autonomia

I recenti disordini alla Camera dei Deputati seguiti al tentativo di aggressione all’onorevole Roberto Calderoli “padre” dell’autonomia ci hanno sollecitato a chiedere un’opinione a uno dei fondatori della Lega.

È nata così l’intervista a Giuseppe Leoni, architetto,77 anni, fondatore con Umberto Bossi della Lega Autonomista Lombarda diventata poi Lega Lombarda. Cattolico praticante, consigliere comunale a Varese, deputato (1987), senatore (1992), leader del Movimento dei cattolici padani è un testimone privilegiato delle vicende politiche italiane degli ultimi 50 anni.

Lo abbiamo incontrato nel suo studio, a Mornago, dove non ha mai smesso di esercitare l’attività professionale, ovviamente rallentata negli anni in cui la politica assorbiva gran parte del suo tempo.

Senatore, gli chiediamo a bruciapelo, è vero che la prima fronda alla sua persona è nata all’interno del suo partito perché lei affermava troppo esplicitamente i valori cattolici? Quanti guai le ha provocato quel “Manifesto politico dei giovani cattolici padani – Famiglia e Società”, Edizioni Segno, scritto a quattro mani con don Raffaele Pettenuzzo?

«Guai non ne ho avuti. Piuttosto ho avvertito indifferenza quando ho cominciato a sottolineare mancanza di morale, brama di potere ed interesse egoistico, piaghe che hanno coinvolto anche la sfera dei rapporti familiari riducendoli e dei semplici rapporti di denaro. Sicuramente non è piaciuto anche quanto constatavo e cioè che, tolto ogni freno all’egoismo individuale, hanno preso valore e importanza la ricchezza, l’apparenza e alcune altre banalità.

Tutt’oggi non hanno un granché di importanza il valore fondamentale della persona umana e la necessità del rispetto della legge morale, tanto nella vita familiare quanto nella pubblica».

Lei è stato anche molto criticato per per avere insistito molto sul problema dell’efficienza della burocrazia la cui attività dovrebbe svolgersi alla luce di un sano federalismo.

«Certo io ho sostenuto che i funzionari e i politici non devono sfuggire al dovere di rispondere personalmente del loro operato e delle proprie incapacità e improduttività. Pertanto l’epurazione deve essere severa. A un migliore trattamento economico deve corrispondere un maggiore e migliore rendimento. 

Inoltre per quanto riguarda le tasse che i cittadini devono pagare, esse devono essere riviste in un sistema federale, evitando quelle differenziazioni e quei meccanismi complicati che non risolvono né i problemi finanziari dello Stato né tantomeno quelli del cittadino, ma che creano unicamente favori e ingiustizie nei singoli e nelle regioni».

Da credente e da cattolico lei ha sempre messo l’uomo al centro della sua riflessione e azione politica. C’è in lei molto del pensiero di Don Sturzo, con una chiara accentuazione però sul federalismo.

«Sono un federalista convinto e credo che le sue radici affondino nel cristianesimo. Infatti il federalismo non è una nozione giuridica o una organizzazione politica, ma un’ attitudine, una maniera di affrontare i problemi mettendo al centro la persona. Sicuramente il federalismo non nascerà mai da un abile dosaggio di anarchia e dittatura, di individualismo limitato e di concentrazione o centralizzazione, ma esso si troverà su di un altro piano rispetto a questi due estremi e contrapposti».

Non le sembra utopico un mondo senza coloro che fanno prevalere gli interessi o le tendenze personali e cercano di affermarsi indipendentemente dagli altri?

«Guardi, l’individualismo eccessivo apre la via al collettivismo in quanto questi due estremi, essendo sullo stesso piano, si condizionano e si richiamano l’un l’altro. Per di più la storia ci dice che dalla polvere degli individualisti, civicamente irresponsabili, le dittature traggono il loro cemento per instaurarsi e consolidarsi violentemente».

In modo succinto qual è l’idea che lei ha di federalismo?

«Il federalismo è il segreto di un equilibrio flessibile e costantemente in movimento tra i gruppi che intende comporre, rispettandoli e non sottomettendoli gli uni agli altri oppure schiacciandoli uno dopo l’altro».

Che cosa pensa del federalismo elvetico?

«L’ho studiato a fondo. In tedesco Confederazione si dice “Bund” che significa “Unione” e che evoca innanzitutto l’idea di centralizzazione. Nella Svizzera italiana, al contrario, quelli che si proclamano federalisti sono nella realtà i difensori gelosi dell’autonomia dei cantoni contro la centralizzazione. Per gli uni federarsi vuol dire semplicemente unirsi, per gli altri essere federalisti vuole semplicemente dire restare liberi a casa propria».

Lei per quale delle due opzioni opta? 

«Il vero federalismo non si concretizza né dalla sola unione dei Cantoni, né dalla loro solo autonomia, ma si realizza nell’equilibrio perennemente raggiustato tra l’autonomia delle regioni e la loro unione».

Assodata la sua “fede” nel federalismo, ci pare di capire che lei legge l’attuale realtà politica come uno scontro tra questo e il centralismo. È così?

«Sono lapidario: il centralismo è semplice e rigido come la guerra e la morte. Il federalismo invece è complesso e morbido come la pace e la vita».

Ammetterà però che ci sono molte e diverse esperienze di concepire e realizzare il federalismo. Se non è una Babele poco ci manca…

«Guardi, il mio personale compito e, con me, di chi condivide il progetto federalista è quello di preparare le coscienze federalistiche perché poi il federalismo verrà da sé.

Oggi viviamo in uno Stato nazione sostanzialmente accentratore».

Immaginare uno Stato che si evolva in federazione appare utopico; non le pare?

«Lo Stato egemonico ha sempre fallito nella sua volontà di unificare e s’è sempre opposto ad ogni volontà di unire»-

Beh è diverso il significato tra unificare e unire…

«È così. Unificare è un atto imperialista, mentre unire è un atto federalista».

Quindi, secondo lei, il federalismo, perseguendo, come il cristianesimo, l’armonia tra le persone e le istituzioni, sarebbe in perfetta simbiosi con questo?

«Esatto. Il federalismo è armonia ma anche tensione tra diversità, che vengono sorrette, mantenute e protette. Sul piano religioso la federazione è anche l’aspirazione dell’ecumenismo moderno che tende a non fondere tutte le diversità, ma cerca di unirle conservandone le loro originarie diversità».

Che cosa pensa di un’Unione Europea costruita su base federale?

«Qualsiasi tipo di federazione ha il problema di salvaguardare le autonomie locali, le diversità reali, di lingua, di etnia e di costumi. La federazione fa sempre da compensazione negli squilibri economici, ma mai si accorderà con l’assistenzialismo, che è il nemico numero uno del federalismo, poiché toglie la libertà alle persone, mentre il federalismo è, per sua natura, il garante della qualità della vita di ognuno e di tutti».

Che fare allora per salvaguardare le giuste autonomie?

«È semplice. Occorre unirsi e arrivare a una unità superiore, che possa sempre intervenire nel caso dove una di queste autonomie, personali e comunitarie, sia minacciata o negata».

Quanta sussidiarietà sturziana ravvisiamo in questa chiosa.

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