La ‘luce’ di Alberto Biasi’ illumina il San Fedele a Milano

Gli spazi della storica Galleria San Fedele (in via Hoepli 3/b) e la vicina Chiesa di San Fedele (piazza S. Fedele) di Milano vengono illuminate dalle opere di ‘luce’ dell’artista Alberto Biasi, noto in Italia e nel mondo come maestro dell’arte optical e cinetica, che fa della luce e del movimento la propria riconosciuta poetica.

Dal 19 marzo al 3 maggio 2025 è possibile ammirare ed immergersi nelle sensazioni luministiche ed ottiche presso la Galleria San Fedele: una mostra importante, dal titolo “La Danza della luce”, con storiche opere dell’artista del Gruppo N, intervenuto all’inaugurazione insieme al curatore Andrea Dall’Asta SJ (direttore della Galleria San Fedele) e Allegra Ravizza (dell’Allegra Ravizza Gallery). Durante il citato periodo le opere abiteranno gli spazi della Galleria, mentre nella chiesa di San Fedele è collocata un’opera in maniera permanente.

La mostra di Alberto Biasi offre un viaggio poetico attraverso le sue opere più iconiche, in cui l’artista esplora luce, movimento e percezione: dalle prime “trame” alle celebri “torsioni” lo spettatore viene coinvolto in vere e proprie visioni, dinamiche e immersive. Un’occasione unica per scoprire il percorso artistico di uno dei principali protagonisti della ricerca artistica contemporanea.

Ma perché l’esposizione proprio nei siti del San Fedele? Per rispondere, sembra opportuno fare luce (siamo in tema!) sulla realtà e sul significato di tale centro di fede e di cultura. La storia di questa chiesa (a pochi passi dal Duomo di Milano e da Palazzo Marino) iniziò nella seconda metà del Cinquecento, quando per volere di Gesuiti e dell’Arcivescovo Carlo Borromeo venne affidata la prestigiosa commissione all’architetto pittore lombardo Pellegrino Tibaldi (1527-1596). A seguito della soppressione dell’Ordine dei Gesuiti nel 1814 la chiesa passò sotto il controllo della vicina chiesa di Santa Maria della Scala, successivamente abbattuta per far posto al Teatro alla Scala. Dopo la Seconda Guerra mondiale San Fedele tornò invece ai Gesuiti che avviarono una serie di attività sia sociali sia culturali e artistiche, dando vita alla “Fondazione Culturale San Fedele”.

Oggi nella chiesa convivono in stretto dialogo con le decorazioni, le strutture architettoniche e i dipinti, alcune opere di arte contemporanea di noti artisti; soprattutto, il Centro San Fedele si propone come interlocutore del dialogo tra arte e fede, trasformando così la chiesa di San Fedele in un vero e proprio laboratorio sperimentale ed espressivo, in cui hanno collaborato (e collaborano) artisti di caratura internazionale (ne citiamo solo alcuni: Lucio Fontana e la sua ‘Via Crucis’ di incredibile plasticismo, 14 Stazioni di terracotta; Mimmo Paladino; Sean Shanahan; David Simpson del quale si ammirano i tre grandi monocromi, permanenti, posti dietro all’altare della chiesa, installati qualche anno fa).

Ciò per dimostrare che la cosiddetta ‘arte sacra’ non è morta ma necessita solo di una conversione di linguaggio che non può essere separato da un messaggio, reinterpretato però secondo i linguaggi del tempo moderno.

In quest’ambito ‘culturale’, con significati di trascendenza, si inserisce, secondo le intenzioni dei curatori, anche l’arte di Alberto Biasi e la sua installazione, dal titolo “Diventare luce” (inaugurata il 19 marzo scorso) presente all’interno della chiesa di San Fedele: è la prima installazione interattiva all’interno dello spazio ecclesiale, costituita da una stanza fluorescente. E’ lo stesso direttore Andrea Dall’Asta ad annunciarne la presenza: “si preme un pulsante fosforescente, una lampada di Wood illumina la persona presente contro la parete: è come dire che occorre decidere, scegliere la verità della propria vita e manifestando la verità della propria vita l’ombra della persona si proietta sulla parete, poi gradualmente, una volta spenta la luce, noi stessi ritorniamo luce e l’ombra sulla parete si dissolve; è come un passaggio luminoso verso l’aldilà, verso l’oltre, verso una dimensione trascendente”. Inserita in uno spazio sacro l’opera luminosa di Biasi ‘fa riflettere’, come ha ammesso lo stesso artista, giocando anche sui termini linguistici utilizzati.

L’esposizione delle opere storiche di Biasi in Galleria San Fedele, invece, è motivata dal curatore Dall’Asta con questa riflessione: “La mostra l’abbiamo organizzata per diversi motivi: perché tu hai una precisa ricerca sul tema della luce e del movimento; inoltre perché il tema della danza è un tema antichissimo, che risale al mondo greco pre-platonico, che quando si interroga sulle origini del cosmo, alle origini del cosmo vi vede la danza delle stelle e le stelle sono luce, e allora viene in mente questa esplosione di gioia, di stelle che si riflettono dal punto di vista cosmico”.

Lo stesso Dall’Asta, dialogando con l’artista, lo ha stimolato a rivelare la sua ‘linea di ricerca’ e le motivazioni che ne hanno determinato gli esiti artistici. Biasi, circondato dall’ammirazione e dall’affetto delle tante persone presenti accorse all’inaugurazione e con lui in contatto da tanti anni, ha rivelato alcune linee autobiografiche sulla nascita della propria arte. Tutto è nato – ha rivelato – dalla sua giovanile cultura ‘agricola’, quando trattava i bachi da seta: l’utilizzo dei medesimi materiali (carte forate), realizzati per la gestione dei bachi da seta, gli aveva rivelato la possibilità di fare i primi esperimenti che avevano come effetto giochi di movimento e di luce. Non solo. Anche la visione, presso la Rinascente di Milano, in quegli anni giovanili, degli ombrellini giapponesi costituiti da fettucce e canna di bambù, con loro sovrapposizioni -unitamente al suo desiderio di studi di fisica – determinarono l’interesse per la creazione di qualcosa che ben sposasse luce e movimento, cioè l’arte portata avanti, sviluppata, inventata, durante tutta la carriera artistica.

E, su esplicita domanda del direttore Dall’Asta, una ammissione dell’artista sul tema della ‘prospettiva’:

“Ero appassionato di Leon Battista Alberti ed avevo imparato a fare le ‘prospettive’; mi chiamavano gli architetti per trasformare le proiezioni ortogonali nei loro progetti in immagini riconoscibili attraverso un disegno molto semplice che era quello della prospettiva, disegno dove la prospettiva si intuisce immediatamente. Ma poi, a un certo momento, ho rinnegato questa mia passione per la prospettiva perché ho compreso che essa altro non era che il passaggio verso l’organizzazione di tutto il mondo secondo una visione puramente umana cioè secondo i punti di vista”.

Nella mostra troviamo anche due opere, così volute dal curatore Dall’Asta, che sono poste una vicina all’altra: una (‘achrome’) di Piero Manzoni, e l’altra (nera) di Biasi. Interessante l’accostamento. Biasi motiva così il motivo della creazione della ‘sua’ opera, quella nera: “Nel 1959 Piero sosteneva che l’achrome era “l’assenza di colore” mentre io gli dissi “No. Piero, l’assenza di colore è il nero!”, “e allora io feci il quadro nero, che dà l’immagine della trasparenza e quindi della profondità”.

E siccome la storia dell’arte è meravigliosa ma anche difficile, e a volte molto difficile da comprendere, il cronista – prima del saluto finale – ha osato chiedere al direttore la differenza tra il “nero” di Biasi ed il “nero” di Malevic. Risposta: il nero di Malevic è ‘iconico’, il nero di Biasi è ‘luminoso’!

Già, tutto coerente con l’ “Arte” e con la stupenda mostra al San Fedele.

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