Alla luce di quanto emerso in questi ultimi giorni occorre prendere atto che aveva ragione quel 20 per cento di italiani che, nella stagione del Covid-19, sono stati sommariamente definiti “complottisti”, “terrappiattisti”, “no vax”, “untori”, “assassini” etc.
Una parte consistente di quell’ 80 per cento, che disciplinatamente s’è uniformato a credere ciò che la narrazione ufficiale gli ammanniva, sembra ora svegliarsi dal torpore e a cominciare a ragionare con la propria testa.
Veniamo al dunque. Martedì sera, 27 Agosto, è stata diffusa la lettera che Marck Zuckerberg ha inviato a Jim Jordan, presidente della Commissione Giudiziaria della Camera degli Stati Uniti. Avremmo potuto pubblicarla immediatamente per anticipare l’uscita dei pochi giornali, come “La Verità” e “Il Tempo”, che già mercoledì ne registravano il contenuto nel silenzio tombale del resto dei media domestici.
Lo facciamo ora, in questo editoriale, per leggerla in un contesto più ampio. Ecco che cosa afferma Zuckerberg: «Nel 2021, alti funzionari dell’Amministrazione Biden, compresa la Casa Bianca, hanno ripetutamente esercitato per mesi pressioni sui nostri team affinché censurassero alcuni contenuti di Covid-19, tra cui l’umorismo e la satira, e hanno espresso molta frustrazione nei confronti dei nostri team quando non eravamo d’accordo. Alla fine, abbiamo deciso noi se eliminare o meno i contenuti e siamo responsabili delle nostre decisioni, compresi i cambiamenti relativi al Covid-19 che abbiamo apportato alla nostra applicazione sulla scia di queste pressioni. Credo che le pressioni del governo siano state sbagliate e mi rammarico che non siamo stati più espliciti al riguardo. Credo anche che abbiamo fatto delle scelte che, con il senno di poi e le nuove informazioni, oggi non faremmo».
A questo tardivo ravvedimento di uno dei massimi “controllori” dell’informazione planetaria (almeno in Occidente) accostiamo l’evidente tentativo d’estorsione che Macron sta compiendo nei confronti dell’inventore di Telegram, Pavel Durov, arrestato per impossessarsi dei dati contenuti nel suo social (con archiviati documenti compromettenti per il governo israeliano). Un fatto allarmante e un atto spregevole che ha spinto gli Emirati Arabi, di cui Durov è pure cittadino, a notificare a Parigi l’immediata sospensione d’acquisto di 80 aerei da combattimento commissionati all’industria francese. Contemporaneamente Ursula Von der Leyen è al lavoro con il Digital Services Act per bloccare “X”, la piattaforma di Elon Musk.
Il giochino è chiaro: non sono più credibili i media al servizio del progetto globalista-davosiano che ha ispirato le politiche dei Clinton, Obama, Biden, Trudeau, Macron, Von der Leyen e dei governi neozelandese, australiano e britannico, mentre gran parte dell’opinione pubblica ora naviga nei social media per trovare informazioni non addomesticate. Sono quindi questi che devono essere controllati per continuare quella narrazione che vuole i buoni schierati con i democratici americani sostenitori dell’Agenda 2030; e i cattivi, simpatizzanti del despota Trump che, se eletto, intende chiudere al più presto il conflitto Ucraino-Russo.
Macron sta facendo sprofondare la Francia nel caos, i tedeschi, con le politiche green, hanno distrutto la loro industria automobilistica e soffrono come non mai, gli unici che segnalano qualche sensibile miglioramento siamo noi italiani, pur immersi in difficoltà d’ogni genere create ad arte da un’opposizione più prona agli interessi stranieri che italiani. I problemi della Meloni vengono da una saldatura di alcuni oppositori nostrani con lobbisti “europei”. L’Italia deve rimanere debole; soprattutto non deve prendere la leadership dei Paesi che s’affacciano sul Mediterraneo.
Delle scellerate politiche della globalizzazione, del verde, dell’indistinta inclusione, dei mal compresi diritti civili, che fanno acqua da tutte le parti, qualcuno prima o poi dovrà rispondere. Ecco quindi la necessità, per chi le ha favorite, di continuare a depistare e imbrogliare l’opinione pubblica.
Negli Stati Uniti, oltre alle élite e a quella esigua minoranza rappresentata da intellettuali, cineasti hollywoodiani, pubblicitari, giornalisti, finanzieri etc. c’è un popolo laborioso e produttivo che non è disposto a transigere sulla libertà di pensiero.
Il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti garantisce «la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio, nonché la libertà di parola e di stampa, il diritto di riunirsi pacificamente; e il diritto di appellarsi al governo per correggere i torti».
Per rendere efficace e tutelare il primo emendamento il secondo prevede che sia «necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata Milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere violato».
C’è poco da scherzare: negli Stati Uniti la libertà di parola e di stampa sono garantite, quando occorre, anche con le armi. Zuckerberg ha capito che il vento sta cambiando e che avere violato il primo emendamento, seppure costretto dal governo, potrebbe causargli guai molto seri. Meglio dunque una pubblica abiura che finire in manette.
Il ritorno di Trump alla Casa bianca deve quindi essere contrastato con ogni mezzo (hanno già tentato di ucciderlo e messo in sordina la vicenda) perché troppe malefatte di alcuni democratici e delle élite globaliste a loro collegati verrebbero a galla con pesantissimi strascichi giudiziari, oltre al ludibrio popolare.
Ovviamente, cadendo un regime, sarebbero trascinati nel suo gorgo migliaia di lacchè anche in Paesi satelliti degli Usa come il nostro. Il tifo per Kamala Harris in Italia va letto in questo contesto, un estremo tentativo di conservare le posizioni ottenute assecondando l’establishment che l’ha espressa.
In Italia, cose già viste, per altro; come quelle accadute tra il 25 Luglio e l’8 Settembre 1943 quando tanti intellettuali fascisti, gettata la camicia nera, si misero al collo un fazzoletto rosso trasformandosi nei più acerrimi nemici del regime mussoliniano.
Se vincono i repubblicani ne vedremo delle belle anche noi, qui in Italia.