Il progetto di riarmo europeo, con una spesa prevista di 800 miliardi di euro volti ad indebitare gli Stati e con fondi (circa 150 miliardi) prelevati dai risparmi di privati cittadini, è giustificato dal timore che l’Europa possa essere attaccata dalla Russia.
Ursula Von der Leyen, ispirata dal nostro ex primo ministro Mario Draghi, s’è convinta che sia giunto il momento, per la sicurezza e il bene degli europei, di convertire le fabbriche di automobili in fabbriche d’armi. Impresa che è irrealizzabile, secondo l’opinione di esperti del settore.
I burocrati a servizio della Commissione europea, dopo avere distrutto l’industria automobilistica e avere sostenuto le scellerate “politiche green” che tanti danni hanno causato all’agricoltura, avvertono il pericolo di perdere i privilegi e i lauti stipendi di cui godono in caso di dissolvimento dell’Unione europea.
Dopo tre anni di guerra in cui i media ci hanno raccontato che l’Autocrate russo stava morendo, che la Russia, grazie alle sanzioni dell’Occidente, era al collasso e che le sue Forze armate erano state annientate da quelle ucraine, dobbiamo ora prendere atto che Putin sta negoziando un trattato di pace con Trump partendo da una oggettiva posizione di vantaggio. Infatti sul campo il suo esercito ha praticamente sbaragliato quello ucraino.
I Russi hanno vinto la guerra e chi vince detta le condizioni per la pace. Purtroppo noi italiani ne sappiamo qualcosa. Nel 1945 gli Alleati imposero all’Italia di cedere ampi territori del confine orientale. Il debito di riconoscenza verso Tito per essersi schierato con gli Angloamericani fu fatto pagare a Giuliani, Istriani e Dalmati.
Allora non ci fu norma di Diritto internazionale a cui l’Italia potè appellarsi. L’interesse dei più forti divenne legge e 350.000 italiani furono costretti a lasciare le proprie case, affetti, beni diventando i protagonisti di uno dei più giganteschi esodi del XX secolo. Tra i fatti del 1945 e gli attuali c’è però una differenza sostanziale: gli ucraini saranno obbligati a rinunciare a terre storicamente abitate da russi, mentre giuliani, istriani e dalmati dovettero abbandonare non le terre di altri, ma le proprie.
Il presidente americano Donald Trump è impegnato a chiudere la guerra in Ucraina. Se la sua proposta di pace andrà a buon fine, sarà compiuto un decisivo passo in avanti con ricadute positive per noi europei oppressi da una nomenclatura, quella di Bruxelles, pervicacemente impegnata a sostenere il globalismo davosiano. Aldilà del contenzioso tra Kiev e Mosca la partita che si sta giocando in Occidente è la visione di due mondi opposti: uno basato sull’ideologia woke e l’altro incentrato sui valori giudaico-cristiani.
Diversi partiti europei sono spaccati al loro interno: c’è chi vorrebbe annientare i Russi, giudicandoli nemici pericolosi e chi, al contrario, non sentendoli ostili, li ritiene affidabili partner con cui sviluppare affari commerciali.
Ancora una volta la divisione non è tra i tradizionali schieramenti politici destra e sinistra, ma tra le due visioni del mondo sopra accennate. Non traspare, almeno per ora, l’affinità di valori che accomuna Giorgia Meloni più a Trump che a Von der Leyen. Più netta appare invece la posizione di Matteo Salvini in grande sintonia con le posizioni trumpiane.
Avere troppo platealmente sposato la causa ucraina e le politiche di riarmo dell’Ue potrebbe nuocere a Meloni perché la maggioranza degli italiani (e molti sono elettori di centrodestra) è ostile alla guerra e soprattutto non nutre sentimenti contro la Russia.
È sempre più marcata la volatilità elettorale. Abbiamo visto candidati, partiti e movimenti che, dopo l’esplosione di consensi, sono spariti nel nulla nel giro di pochi anni: Bossi, Di Pietro, Renzi, Salvini, Monti e Conte. Meloni non si aggiunga a questo elenco.