Pensavamo che il harakiri fosse una pratica tipicamente giapponese, scopriamo invece che è in uso anche in Germania, visto come la sua classe politica (guidata prima da Merkel e poi da Scholz) è riuscita a suicidare il Paese.
Avere assecondato l’ideologia green ed essersi supinamente schierati con gli Usa per allargare la loro influenza fino al confine con la Russia non ha pagato; anzi ha creato una serie di grossi guai. La chiusura di uno stabilimento della Volkswagen e gli annunciati analoghi provvedimenti presi da altre case automobilistiche tedesche dimostrano la gravità della crisi in cui è piombato il sistema industriale in Germania.
L’idea di rivoluzionare su scala planetaria l’automotive passando dal motore endotermico a quello elettrico s’è mostrato un errore gigantesco che sta facendo sprofondare l’economia tedesca nel baratro.
Purtroppo questa miope politica, pagata a caro prezzo da migliaia di lavoratori che stanno perdendo il posto di lavoro, ha riflessi anche in Italia. Oltre ad una minor presenza di turisti tedeschi registrata già quest’estate in molte località di villeggiatura, forti perdite di fatturato sono attese da tante aziende metalmeccaniche dell’indotto. Una botta da cui molte imprese potrebbero non essere più in grado di risollevarsi.
La Germania aveva la leadership mondiale dell’automotive, parzialmente contesa da giapponesi e sudcoreani e se l’è giocata per sostenere auto elettriche il cui costo di produzione non è competitivo rispetto a quello cinese. Un’utilitaria di 500 cc costa oltre 30.000 euro e senza sussidi statali non trova acquirenti.
Per fare il pieno di carburante ad una vettura, diesel o benzina, ci si mette cinque minuti, per una elettrica, quando va bene, due ore. La batteria al litio, di cui la Cina ha il monopolio, non è eterna; arriva al massimo a 10 anni. Quando milioni di batterie dovranno essere smaltite che problemi di natura ecologica sorgeranno?
La Germania ha chiuso tutte le centrali che producevano energia nucleare ed ha accettato di interrompere le buone relazioni che aveva con la Russia la quale le forniva gas a prezzi concorrenziali grazie ai quali la sua industria ha a lungo prosperato.
Paradossale il fatto che mentre Berlino e l’Ue, con a capo la tedesca Ursula Von der Leyen, sostenevano Kiev contro Mosca, i servizi segreti ucraini facevano saltare il gasdotto Nord Stream che portava gas dalla Russia alla Germania. Oltre il danno la beffa.
Le scelte green di Berlino, in sintonia con l’Agenda 2030, si sono dimostrate un disastro anche sotto il profilo geopolitico. Se prima la “Locomotiva d’Europa” e l’intero Vecchio Continente dovevano negoziare con diversi Paesi produttori di petrolio l’acquisto del combustibile indispensabile per far circolare milioni di vetture, oggi, di fatto, si stanno mettendo nelle mani di un unico soggetto per garantirsi la mobilità: il governo di Pechino.
I cinesi si sono dimostrati più veloci degli europei e degli stessi statunitensi. In quattro e quattr’otto hanno allestito fabbriche e hanno tagliato fuori dalla competizione l’industria europea.
Particolare non irrilevante: dal 2018 la Cina ha messo le mani sulla metà delle miniere di litio che si trovano non solo in Australia e Canada, ma anche in Argentina, Repubblica Democratica del Congo e Zimbabwe.
Stellantis (ex Fiat) ha fatto la fine che tutti conoscono ed è l’evidente preludio di ciò che accadrà alle grandi fabbriche tedesche (Bmw, Mercedes-Benz, Audi, Volkswagen, Opel, Porsche etc.) se si andrà avanti con l’elettrico.
Se si prende la briga di fare un piccolo sondaggio tra i concessionari d’auto in alcune province lombarde si scopre che quasi tutti sono molto accorti e prudenti nel maneggiare vetture elettriche perché le batterie di cui sono dotate sono molto delicate e sensibili al calore. Per questo motivo sovente a quei veicoli sono riservati appositi stalli che garantiscono maggiore sicurezza e protezione.
Anche se non lo ammettono esplicitamente diversi venditori di auto non si sentono comunque di negare che a causare l’incendio di vetture elettriche possano essere proprio le batterie al litio investite, a volte, persino dal calore generato dall’asfalto esposto al sole.
Qualsiasi avvenimento non accade all’improvviso; ci sono sempre segnali premonitori: il tuono annuncia la pioggia. Adesso coloro che hanno governato a Bruxelles si accorgono che hanno sempre meno consenso e che crescono i loro oppositori, sbrigativamente liquidati come sovranisti o nazionalisti, quando non identificati come fascisti o nazisti.
Ma dove erano quando ammazzavano l’industria, disincentivavano l’agricoltura, distruggevano il ceto medio, eliminavano la proprietà, indebolivano la famiglia, favorivano l’immigrazione anche illegale?
Gli amici tedeschi non ce ne vogliano, ma ci sembra che, per quanto hanno permesso di fare alle loro élite politiche, si addica alla loro situazione l’antico adagio popolare italiano: “chi rompe paga e i cocci sono suoi”.