Editoriale – Il caso Almasri accentua la diatriba tra Governo e Magistratura

È sotto gli occhi di tutti lo scontro tra il Governo, sostenuto dalla maggioranza parlamentare e la Magistratura appoggiata dall’opposizione. La liberazione del generale libico Almasri ha innescato un duello che va oltre i limiti di una furibonda diatriba.

C’è qualche analogia con quanto sta accadendo al capo del Governo, Giorgia Meloni e la travagliata vicenda vissuta da Silvio Berlusconi quando, il 22 Novembre 1994, a Palazzo Reale a Napoli, nel corso di una conferenza internazionale, si vide recapitare un avviso di garanzia.

La vera questione non è se il documento ricevuto dal Primo Ministro, dal sottosegretario Alfredo Mantovano, dai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi non sia un avviso di garanzia, ma una comunicazione d’iscrizione al registro degli indagati, bensì il fatto che la Magistratura può interferire pesantemente sulle sorti di un governo, fino a comprometterne la sopravvivenza.

I quattro indagati hanno già nominato un loro difensore, l’avvocato Giulia Bongiorno e si apprestano ad affrontare i futuri passaggi previsti dalla legge.

Il polverone sollevato con la gran cassa mediatica è quanto di meglio desiderano i detrattori del governo di centrodestra. L’obiettivo è di mettere in cattiva luce Giorgia Meloni e i suoi ministri.

Il Governo italiano e soprattutto il suo Primo Ministro rappresentano un ostacolo per quelle élite che, non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo, avendo governato male, stanno perdendo il potere.

Giorgia Meloni ha molti oppositori in Italia e in Europa. Certamente le è ostile l’apparato predisposto da Klaus Schwab, fondatore del Word Economic Forum di Davos, che ha molti alfieri nell’Unione Europea e in diverse istituzioni ad essa collegate.

Il fatto che in poco più di due anni, grazie alle politiche del centrodestra, l’Italia si stia rimettendo in piedi e stia diventando un Paese credibile nel mondo, fa certamente soffrire la Sinistra nostrana, ma preoccupa ancor di più quei “padroni del vapore” che vedono sgretolarsi il loro progetto di dominio planetario.

La vicenda Almasri fa sorgere tanti interrogativi. Come mai la preoccupante diatriba tra Governo e Magistratura si accentua in un momento come l’attuale? Germania e Francia sono per definizione sempre Paesi amici? I servizi d’intelligence sono permanentemente votati al bene?

Lo scontro tra due poteri autonomi e sovrani, l’Esecutivo e il Giudiziario, avviene però oggi in un contesto diverso rispetto al passato. Mentre il primo gode di un ragguardevole consenso popolare, il secondo ha fortemente perso “appeal”.

La lentezza dei processi, i gravi errori giudiziari e la politicizzazione di alcune sentenze hanno minato la fiducia dei cittadini nella Giustizia. Contenziosi che durano anni con conseguenze devastanti per le vittime e per gli imputati. Sentenze che sembrano rispondere più a logiche ideologiche che strettamente giuridiche, hanno alimentato la percezione di una Giustizia non imparziale. Corruzione e clientelismo hanno inficiato l’operato di alcuni magistrati, per fortuna pochi, ma hanno gettato un’ombra sull’intera categoria.

Per intenderci, negli anni di “mani pulite” la Magistratura era molto stimata, mentre oggi è percepita come un potere che intende sostituirsi ad un altro; con una differenza sostanziale, però. Mentre il potere Esecutivo è costituito da persone che ogni cinque anni devono ottenere il consenso popolare attraverso il voto, quello Giudiziario è formato, una volta vinto il concorso, da inamovibili alti funzionari dello Stato.

La triplice divisione dei poteri secondo la concezione di Montesquieu (1689-1755) non lascia margini d’interpretazione: l’Esecutivo governa sulla base delle leggi approvate dal Parlamento e la Magistratura ha il compito di farle rispettare.

Al giudice è concesso il potere discrezionale d’interpretare le leggi, non di farle.

Se una riforma della Giustizia è necessaria per il bene dei cittadini, gli stessi magistrati dovrebbero sentirsi onorati di favorirla.

Non si deve alimentare nell’opinione pubblica il sospetto che i magistrati interferiscano sul potere politico per modificarne l’assetto e, nel contempo, mantenere i privilegi previsti per la loro difficile, quanto indispensabile, opera.

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