Come ripensare la democrazia oggi

Offriamo una riflessione sull’argomento della democrazia nel nostro tempo, redatta da Mons. Ettore Malnati, che ringraziamo per la gentile concessione

Volendo approfondire la tematica dove si sottolinea che la pace si costruisce lottando contro la discriminazione, ho riletto “La democrazia comincia a due“(Bollati Boringhieri, 1994) di Luce Irigaray, filosofa francese. In questo scritto ella dichiara che una coesistenza pacifica deve passare attraverso un ripensamento del concetto di democrazia. La logica da cui parte la filosofa Irigaray nella sua speculazione, è l’osservazione del mutamento della realtà contemporanea: cioè la dignità della donna come persona; l’affermazione di culture diverse che rigettano il modello occidentale universale valido; le condizioni e unioni volontarie di popoli per scopo di molteplici interessi economici e sociali; e la terra minacciata da sfruttamenti di ogni tipo e dall’inquinamento. Tutti questi cambiamenti impongono un nuovo modo di interpretare la democrazia, cioè il cosiddetto “futuro possibile“, per la specie umana, come dice la filosofa francese, che prevede necessariamente una convivenza basata sul rispetto della persona in quanto tale.

E questo rispetto deve essere costruito anzitutto interiormente piuttosto che sulle modalità economiche e sociali del vivere duale. Da un punto di vista speculativo, secondo il pensiero della Irigaray, la nuova democrazia scaturirebbe dall’adozione di una nuova prospettiva antropologica ed etica. Tutte le filosofie del passato, ella afferma, partono da un modello paradigmatico, cioè dall’uomo ideale. Il concetto di “altro“ sembra non esistere. L’uomo si rapporta come unico soggetto ad un molteplice visto come oggetto, che si deve conformare al modello superando le imperfezioni che lo allontanano da questo punto di vista. Le differenze, in quest’ottica, sono considerate imperfezioni presso i filosofi del passato.

Oggi non più. Infatti l’universale è considerato duale, dice la filosofa francese. Ossia il due è inteso come rapporto di alterità. Il soggetto non è più unico: è due, e il primo gesto teorico per arrivare a questo assunto è liberare il due dall’uno, ossia far emergere l’altro dallo stesso. In questo consiste la fase critica della filosofia e della cultura che la Irigaray ha chiamato “monosoggettive“. Questo sarebbe il primo passo.

Il secondo sta nel considerare il criterio antropologico cioè che la donna torni al suo primo essere identitativo. In tal senso dovrà liberare la propria differenza di genere ma nello stesso tempo affermarla e proteggerla. Grazie a questa gestualità criteriale, dice la filosofa francese, anche l’uomo può tornare alla considerazione identitaria del suo proprio essere. Tale gesto liberatorio ha valore sia filosofico che politico. Il due è, come scrive appunto la Irigaray, garanzia del noi ed è la conversione dello “splendido isolamento” dell’io che viene ad essere orientato al tu nella costruzione del noi.

Questo è il “fondamento necessario di una nuova ontologia, di una nuova etica, di una nuova politica dove l’altro è riconosciuto come altro e non come [proiezione del] medesimo: più grande, più piccolo, al meglio uguale a me”. In etica come in politica – che non deve essere meno etica – bisogna rinunciare al possesso dell’altro per avere una relazione di conoscenza come altro e quindi poterne riconoscere le differenti identità ed anche le differenti normative per poter convivere dignitosamente con un’attenzione egualitaria nei diritti e nei doveri. Su queste basi filosofiche allora si potrebbe dire che è possibile fondare un nuovo concetto di democrazia come appunto troviamo nel documento “Fratelli tutti” di Papa Francesco.

Per fare ciò, dal riconoscimento di queste differenti identità naturali, bisogna però poter passare al riconoscimento di una identità civile ben riconosciuta e riconoscibile. Non siamo ancora al punto di varare una democrazia etica secondo i due concetti che abbiamo espresso poco sopra. Bisogna sancire a livello giuridico queste diversità riconoscendole destinatarie di tutti quei doveri e diritti propri della dignità della persona umana, tenendo conto però, se si volesse essere promotori di una democrazia veramente etica, delle reali esigenze di natura e di situazione dei vari individui.

Su queste basi è doveroso ripensare ad una “cura “ della democrazia “oggi in sofferenza” affinché possa rispondere e premurarsi di una vera prospettiva sociale e politica degna della differenza identitaria dei soggetti ai fini di una convivenza pacifica e quindi rispettosa delle varie “diversità“ presenti nei soggetti e nella società. Da qui si può partire per ottenere una “democrazia- altra” capace di inclusione e non di discriminazione.

didascalia: mons. Ettore Malnati

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