Editoriale – I frutti, bacati, dell’Europa

Gli agricoltori di tutta Europa sono in agitazione. Parigi è stata circondata dai trattori e le strade di numerose altre città sono tuttora presidiate da coltivatori e allevatori.

La protesta, arrivata fino a Bruxelles e a Strasburgo, s’è allargata a quasi tutti i Paesi del Vecchio Continente: dall’Olanda al Belgio, dalla Germania all’Italia, dalla Spagna alla Romania, dalla Polonia all’Ungheria fino alla Grecia.

La disapprovazione del mondo agricolo contro le scellerate politiche ambientaliste di Bruxelles non è nuova. Contestazioni sono state sollevate da tempo, fin da quando è stata acclarata la volontà di abbattere milioni di bovini accusati di emissioni di gas a effetto serra.

Sulla base di una denuncia della Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), secondo la quale nel mondo gli animali sarebbero responsabili di circa il 14 per cento delle emissioni di gas serra (due terzi dei quali causati dal bestiame d’allevamento), la Commissione europea, che ha dichiarato guerra all’anidride carbonica (CO2), s’è attivata per ridurre drasticamente gli allevamenti.

In ossequio poi alle politiche green e ambientaliste ispirate ad un’ideologia anti umana, Bruxelles ha incentivato la desertificazione delle campagne con contributi a quegli imprenditori agricoli disposti a non coltivare.

Siamo arrivati al punto che la Giunta regionale dell’Emilia Romagna, con delibera n. 2133 del 4 Dicembre 2023 ha emesso il bando “SRA26 ACA26 Ritiro seminativi dalla produzione” grazie al quale sono concessi annualmente, fino al 2044, dai 500 ai 1.500 euro per ettaro non coltivato.

Gli obiettivi del provvedimento, si legge nella delibera, sarebbero di carattere ambientale: «contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento a essi, anche riducendo le emissioni di gas a effetto serra e rafforzando il sequestro del carbonio, come pure promuovendo l’energia sostenibile».

È vero che le risorse stanziate ammontano solo a 211.200 euro, per cui il terreno non coltivato sarebbe esiguo (da un minimo di 140 ad un massimo di 422 ettari), ma è il principio, la ratio su cui si fonda il provvedimento che lascia sconcertati.

Stefano Bonacini, presidente della Regione Emilia Romagna e presidente del Partito Democratico, s’è dimostrato – solo in queso caso? – un solerte interprete delle direttive della Commissione Europea, la quale, rivelandosi spesso in sintonia con i malvagi piani del Forum economico di Davos, ne appare una diligente esecutrice.

Per la proprietà transitiva: se il Presidente del Pd è l’alfiere dell’UE e l’Ue è l’alfiere del Forum, ne consegue che il Presidente del Pd è l’alfiere del Forum; e il cerchio si chiude.

In effetti la Sinistra, in Italia e in Europa, è stata la migliore interprete delle “idee” di Davos. Per citare gli esempi più eclatanti: globalizzazione; perdita di sovranità nazionale a favore dei vertici dell’Ue; diminuzione della popolazione attraverso lgbtq+, eutanasia, aborto; attacco alla proprietà privata con balzelli sugli immobili e diffusione del noleggio di autovetture; sostituzione di farmaci efficaci con vaccini ad esclusivo vantaggio di Big Pharma; subdolo quanto vigoroso accanimento contro il settore agricolo.

In un recente convegno a Roma, presenti il segretario del Consiglio dei ministri, Alfredo Mantovano e il senatore Marcello Pera, il cardinale Angelo Bagnasco, già presidente Cei e dei vescovi europei, parlando sul tema “Il suicidio dell’Occidente” ha notato come il senso di appartenenza tra i popoli e tra le nazioni europee stia diminuendo e «di aspettarsi che l’Europa si fermi a fare un esame di coscienza pertinente.

Perché se l’albero si giudica dai frutti, possiamo dire che i suoi non sono sempre positivi. Anzi». Il Cardinale ha anche aggiunto che occorre rifondare l’Europa partendo dalle sue istituzioni affinché «non ci sia più quel deficit di democrazia che oggi vediamo». Ogni commento ci pare superfluo.

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