Editoriale – Il Vangelo è ben oltre la democrazia

«Dopo il crollo del totalitarismo comunista e di molti altri regimi totalitari e “di sicurezza nazionale”, si assiste oggi al prevalere, non senza contrasti, dell’ideale democratico, unitamente ad una viva attenzione e preoccupazione per i diritti umani. Ma proprio per questo è necessario che i popoli che stanno riformando i loro ordinamenti diano alla democrazia un autentico e solido fondamento mediante l’esplicito riconoscimento di questi diritti.

Tra i principali sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia ed a accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona.

Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto rispettati. Né ci si riferisce soltanto allo scandalo dell’aborto, ma anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi democratici, che talvolta sembra abbiano smarrito la capacità di decidere secondo il bene comune. Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono.

Simili deviazioni del costume politico col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune. Questo, infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un’equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un’esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona».

Così si legge al paragrafo 47 della lettera enciclica promulgata da san Giovanni Paolo II, il 1° Maggio 1991, nel centenario della “Rerum Novarum” di papa Leone XIII.

È incredibile come Papa Wojtyla, 34 anni fa, avesse previsto ciò che accade oggi sotto i nostri occhi. Stupisce la chiarezza con cui il Santo Pontefice avesse intuito come avrebbero potuto degenerare anche sistemi democratici se si fossero resi incapaci di garantire il diritto alla vita, di tutelare la famiglia, di assicurare adeguata istruzione ai cittadini, di fornire un dignitoso lavoro e persino di mettere in sicurezza la libertà di manifestare la propria fede.

Sia Giovanni Paolo II, sia il suo successore, Benedetto XVI, avevano percepito che le società occidentali si stavano adagiando su un pernicioso sincretismo religioso quando non sull’irreligiosità ed avevano avvertito del pericolo per la stessa Chiesa di lasciarsi coinvolgere in problemi terreni, seppur gravi, dimenticando che il suo primo compito è annunciare Gesù Cristo.

È encomiabile l’impegno di tanti sacerdoti che si ostinano a proclamare e a testimoniare le verità evangeliche, aldilà degli scandali e scandaletti, più o meno reali, che affliggono la Chiesa. In una società intrisa di giustizialismo è facile gettare discredito sull’intero clero per i reati commessi da qualche presbitero.

Al contrario, si finge di non conoscere (come se non esistesse) la sofferenza di tanti bravi preti, che sono la maggioranza, i quali patiscono essi stessi per gli errori commessi dai confratelli.

Si tratta di migliaia di preti che, non di rado con sacrificio personale, si prodigano per il bene delle persone. Preti che lavorano negli ospedali, nelle carceri, nelle desolate periferie di megalopoli, in zone impervie e malsane, in remoti villaggi dove non esistono i più elementari generi di conforto.

Che cosa portano costoro? Il dono di credere in un Dio talmente amico degli uomini che per loro ha immolato il Figlio fino a chiedergli il supplizio della crocifissione.

In un recente editoriale dell’ “Osservatorio internazionale cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa” si sostiene che «nessuno dice più alla gente che il benessere spirituale è più importante e necessario di quello materiale» e poco oltre, in modo ancor più polemico si sottolinea come «alla Settimana sociale in corso a Trieste sul tema “Al cuore della democrazia. Partecipazione tra storia e futuro”, invece di riportare al centro Cristo, si porta al centro le democrazia, vero problema, confuso per soluzione anche da un certo cattolicesimo».

Il giudizio è severo, forse eccessivamente tagliente, ma ha un fondo di verità perché mette in luce il travaglio di una comunità di credenti oscillante tra cattolici adulti (democratici) e cattolici conservatori entrambi comunque figli di una Chiesa che appare sempre più invischiata negli affari del mondo.

didascalia: immagine da Pixabay

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