C’è una storiella che circola sugli stereotipi dei singoli popoli europei. In sintesi dice questo: sai che cosa fanno 5 francesi insieme? Una banda musicale. Cinque tedeschi? Una squadra militare. Cinque inglesi? Un party. Cinque italiani? Sei partiti.
Alle ultime elezioni politiche (25 Settembre 2022) si sono presentate 22 liste a confermare, non il pluralismo utile ad una democrazia, ma la frammentazione di una società profondamente divisa.
A beneficio del lettore ricordiamo le liste. Lega per Salvini premier, Forza Italia, Noi moderati, Partito Democratico-Italia Democratica Progressista, Alleanza Verdi e Sinistra, +Europa, Impegno civico-Centro Democratico, Moviento 5Stelle, Azione-Italia Viva, Italexit, Unione popolare, Italia Sovrana e Popolare, Sud chiama Nord, Vita, Svp-Patt, Noi di Centro-Europeisti, Partito Comunista Italiano, Partito Animalista-UCDL-10 Volte meglio, Alternativa per l’Italia (PdF-Exit), Partito della Follia Creativa, Free, Forza del Popolo.
Tra 10 giorni, per il rinnovo del Parlamento europeo, la scelta dell’elettore sarà meno complicata perché si troverà a scegliere tra due opzioni fondamentali. La prima – che ha avuto una forte accelerazione in questi ultimi cinque anni governati da Ursula von der Leyen – è quella di un’Unione guidata da tecnocrati e burocrati impegnati a restringere (fino a sopprimerla del tutto) la sovranità nazionale. La seconda è quella di un’Europa rispettosa delle tradizioni e dei valori dei singoli popoli (la cui sovranità deve essere sempre garantita) uniti per assolvere pochi precisi compiti. A tale proposito l’articolo 5 del Trattato sull’Unione Europea è molto chiaro: «La delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di attribuzione. L’esercizio delle competenze dell’Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità. In virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri».
Il punto nodale quindi sono i trattati che devono essere concepiti mettendo al centro la qualità della vita dei cittadini europei e non gli interessi di sparuti gruppi di potere. È contro l’interesse di milioni di europei un’Unione gestita da un manipolo di tecnocrati (alla Draghi, Macron, Lagarde etc.,per intenderci) supportati da una casta di burocrati autoreferenziali sempre più interessati ad allargare i già tanti privilegi di cui godono.
Quando si tocca l’argomento degli stipendi dei dipendenti del Parlamento europeo (7.820 nel Maggio 2019) si sostiene che per stabilirli ci si rifà alle retribuzioni contemplate dal mercato privato in modo da assicurarsi “eccellenze” nel servizio pubblico.
Il bilancio dell’Europarlamento, nel 2019, è stato di 1,999 miliardi di euro. Il 44% del budget, comprese le spese per il servizio di interpretariato e le traduzioni esterne, è stato destinato alle spese per il personale. Da ciò si deduce che il costo medio di un dipendente sarebbe oscillato attorno ai 110.000 euro annui.
Ecco l’8 e 9 Giugno l’elettore italiano si trova davanti ad un dilemma più semplice da risolvere. O voto tre europarlamentari (due donne e un uomo o due uomini e una donna) che confermeranno l’edificazione di un’Europa, come l’attuale, mercantilistica e senza riferimenti ai valori giudaico-cristiani, o ne scelgo altri che, partendo proprio dalla riproposizione di questi valori, la rifondano in ossequio ai principi di sussidiarietà, solidarietà e sicurezza comune.