È passato un quarto di secolo dal bombardamento di Belgrado

Generale Giuseppe Morabito, membro del Direttorio della NATO Defence College – Domenica 24 marzo saranno trascorsi esattamente 25 anni dall’avvio dell’operazione NATO in Serbia e Kosovo. Il conflitto in ex Jugoslavia fu il primo vero conflitto nel nostro continente dopo il 1945, pertanto quel fatidico 24 marzo 1999 segnò l’inizio di una delle pagine più tristi della storia recente dell’Europa.

Quel giorno, verso le ore 16, la Forza Alleata (Allied Force) della NATO – costituita da Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Canada, Spagna, Portogallo, Danimarca, Norvegia, Turchia, Paesi Bassi e Belgio – avviò la sua operazione contro la Repubblica Federale di Jugoslavia guidata da Slobodan Milosevic, consistita in un’intensa campagna di attacchi aerei durata oltre due mesi (fino al 10 giugno). L’operazione fu condotta solo via aerea evitando scrupolosamente l’opzione dell’attacco terrestre. 

L’operazione Allied Force è stata la seconda azione militare nella storia della NATO, dopo l’operazione Deliberate Force del 1995 in Bosnia ed Erzegovina. L’operazione Allied Force è inoltre la prima volta in cui la NATO ha usato la forza militare senza la preventiva approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il che ha innescato dibattiti sulla legittimità dell’intervento. 

Sulla carta l’intervento della NATO aveva lo scopo di riportare la delegazione serba al tavolo delle trattative diplomatiche, che aveva abbandonato dopo averne accettato le conclusioni (Trattato di Rambouillet). Il conflitto portò, nel tempo,  il Kosovo a staccarsi dalla Serbia (e nel 2008 a dichiarare unilateralmente lo stato d’indipendenza) e alla caduta del presidente Milošević.

Il nostro paese partecipò ai bombardamenti in virtù della sua appartenenza alla NATO e della sua posizione geografica sulla sponda opposta dell’Adriatico, con diverse basi e aeroporti militari, alcune dei quali in gestione delle forze armate degli Stati Uniti. La nostra penisola fu un trampolino di lancio essenziale nel conflitto. Ai bombardamenti parteciperanno più di 50 aerei italiani, attaccando gli obiettivi indicati dalla NATO. “Era moralmente giusto ed era anche il modo di esercitare pienamente il nostro ruolo», disse l’allora ministro D’Alema”. Ricordo che per decisione del governo il numero di aerei italiani che bombardarono la Serbia è stato secondo solo agli americani.

È palese che la principale crisi dei Balcani Occidentali e principale ostacolo a una futura integrazione europea risiede ancora nella crisi del Kosovo e i suoi sviluppi.

Quando la NATO intervenne nel 1999 per far cessare le azioni serbe contro gli albanesi in Kosovo, fermò un conflitto ma risolse ben poco. Da allora, i politici “ultranazionalisti” su entrambi i lati del confine hanno vinto le elezioni con la promessa (per Pristina) di affermare il pieno controllo su tutto il Kosovo o (per Belgrado) di ritagliarsi un’enclave etnica serba in Kosovo. Per più di 20 anni, la presenza della forza KFOR e gli incentivi allo sviluppo per entrambe le parti hanno ampiamente impedito che questo conflitto si estendesse nuovamente alla regione.

L’obiettivo della missione NATO Kosovo Force (KFOR) è stato inizialmente quello di attuare e, se necessario, far rispettare gli accordi del cessate il fuoco, allo scopo di fornire assistenza umanitaria e supporto per il ristabilimento delle istituzioni civili, agevolando il processo di pace e stabilità. Oggi la missione KFOR si occupa di garantire libertà di movimento e un ambiente sicuro per tutti i residenti kosovari, a prescindere dell’etnia di appartenenza, affinché possano vivere in pace e, con l’aiuto internazionale, in un sistema pienamente democratico.

Ovviamente, la guerra dell’Ucraina a seguito dell’aggressione russa ha cambiato la percezione dell’influenza di Mosca nei Balcani e, più recentemente, l’effettiva espulsione/pulizia etnica degli armeni dal Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaijan appoggiato dalla Turchia, potrebbe significare che il traballante equilibrio si sta rapidamente erodendo e lo status quo sostenuto dal deterrente della KFOR e l’incentivo citato dell’adesione all’UE potrebbe non reggere più.

Oggi, poi, con un comandante di KFOR di nazionalità turca le perplessità serbe sono in aumento. Non si può dimenticare che Erdogan ha sempre sostenuto una posizione antiserba e non è propriamente definibile un politico equilibrato visto il passato e anche le “farneticazioni” antisraeliane di questi mesi. La maggior parte degli elettori nazionalisti serbi condivide ancora la visione per cui la Serbia è ovunque ci siano serbi, ed è dovere e responsabilità di Belgrado difendere i loro diritti. Sebbene Vučić affermi di respingere questa politica, essa ha molti sostenitori.

Subito dopo che si era insediato l’attuale governo i ministri Crosetto e Tajani hanno incontrato i vertici politici di Serbia e Kosovo facendo ben comprendere che l’Italia è oggi pronta a mediare e trovare una soluzione. Inoltre, è da sottolineare che il comando delle forze della NATO in Kosovo era in quel periodo del nostro Paese. Ricordo che in Kosovo sono permanentemente presenti alcune centinaia di militari italiani e questo conferma che la stabilità della regione è un’importante questione d’interesse nazionale. Roma è considerata un attore centrale per la stabilità balcanica.

La Serbia è il primo partner commerciale dell’Italia nei Balcani e ci sono buonissimi rapporti economici e politici. I kosovari sono schierati con gli Stati Uniti in modo assoluto, hanno contributori dell’area mediorientale del Golfo e asiatica, e l’autarchia turca cerca in ogni modo di influenzare – a mio parere negativamente – il Paese. Per quanto precede, l’Italia deve giocare il ruolo di “baluardo” della democrazia.

In tale quadro è importante quanto dichiarato nell’occasione del venticinquesimo anniversario da Jovan Palalic il deputato e Segretario del Partito Popolare serbo e segretario del gruppo parlamentare di amicizia Italia – Serbia: “L’Italia continua a sostenere la posizione della Serbia senza condizioni per l’adesione all’ Unione Europea e dopo 25 anni dal bombardamento si deve considerare la Serbia un paese serio, si deve rispettare la sua potenza economica nella regione e la sua identità…”.

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