XI Domenica dopo Pentecoste e Ss. Ponziano e Ippolito

1Re 19, 8b-16.18a-b; 2 Corinzi 12, 2-10b; Matteo 10, 16-20

I Lettura: Elia, perseguitato a morte, fa l’esperienza di un cammino rigeneratore. Le tappe del suo viaggio sono la città, il deserto e la montagna. I punti di riferimento sono l’angelo, la parola e la presenza.

Elia è sul monte là dove Dio ha compiuto l’alleanza con il suo popolo. Dio si rivela ad Elia nell’intimità e nella dolcezza e lo conferma nella sua missione.

La pagina del Vangelo odierna ci sollecita a mettere a tema proprio la persecuzione dei discepoli di Gesù. Il maestro prepara gli apostoli ad affrontare le difficoltà che li attendono e li esorta ad essere perseveranti sino alla fine per potersi salvare. Chi è discepolo, ad imitazione del maestro, è sollecitato a preventivare nella sua vita, nel suo impegno e nella sua missione, la persecuzione, perché il bene dà fastidio, rompe il falso equilibrio. Può portare dei conflitti, degli sdoppiamenti all’interno della stessa famiglia, della medesima comunità. Il cristiano prosegue, pieno di fiducia, il compito affidato dal Signore. Gesù ci offre l’”equipaggiamento” per poter affrontare la persecuzione come momento di crescita e come occasione per testimoniare il Signore Gesù. «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe». Il discepolo è povero ed esposto, ricco solo di fede nella validità del suo annuncio.

Epistola. Gli amici del Dio di Abramo e del Dio di Gesù sono persone perseguitate e coinvolte in sofferenze private, ma anche sostenute da un’esperienza viva e mistica di Dio stesso con la garanzia di un suo aiuto che non viene mai meno: ed è la vicenda di Paolo, apostolo delle genti. Questo uomo, che sulla via di Damasco ha incontrato il Cristo risorto anche attraverso la Chiesa, ha delle esperienze mistiche straordinarie e le racconta in terza persona. Qui a noi interessa, oltre al dono di grazie straordinarie mistiche (esperienze totalizzanti del Dio dell’amore!), il modo di reazione di Paolo e il tipo di aiuto del Signore Gesù.

Venire a sapere che un nostro fratello maggiore della statura di Paolo ha un’esperienza di sofferenza e che per ben tre volte ha chiesto al Signore di essere liberato, ci dà molto conforto. E ancora di più: venire a sapere la risposta di Gesù Cristo alla supplica di Paolo («Ti basta la mia grazia»), dà la forza di reagire. Il cristianesimo è proprio questo: credere e aderire a questo Dio, che ci aiuta, che è presenza, che è con noi e che non ci abbandona mai.

Franco Cecchin, “A ciascun giorno la sua Parola - Anno A", pp. 253 e ss. Àncora, Milano

 

 

Ss. Ponziano e Ippolito  

 

Discendente di una delle più nobili famiglie romane, quella dei Calpurni, Ponziano fu vescovo di Roma per quattro anni dal 231 al 235, durante l’impero di Alessandro Severo, periodo in cui la Chiesa godette di una relativa pace. Ma alla tranquillità all’esterno corrispondevano discordie all’interno.

 

Dal tempo dell’elezione di Callisto (217) c’era infatti un antipapa, Ippolito, un prete romano, celebre per la sua conoscenza delle Sacre Scritture e per la profondità del suo pensiero, che col suo piccolo e agguerrito gruppo rigorista continuava la sua opposizione alle scelte pastorali che la Chiesa di Roma portava avanti, concedendo il perdono ai lapsi (coloro che in tempo di persecuzione non avevano avuto il coraggio di professare la loro fede) e permettendo il matrimonio tra liberi e schiavi.

 

Quando ad Alessandro Severo succedette l’imperatore Massimino il Trace, ripresero le persecuzioni contro i cristiani. Ponziano fu condannato alle miniere in Sardegna, e per non lasciare senza guida la sua comunità, rinunziò al pontificato. Gli successe il greco Antero, mentre egli veniva deportato insieme al prete Ippolito nell’isola della morte, dove il clima malsano, i maltrattamenti e il duro lavoro stroncarono in breve tempo la loro vita.

 

Si pensa che il prete Ippolito,  condannato insieme al papa Ponziano, sia il dotto Ippolito, agguerrito antagonista. Così ha ritenuto il papa Damaso che ha composto per lui l’iscrizione in cui lo riconosce confessore e martire della fede, mentre invita i suoi seguaci a tornare alla comunione con il papa legittimo. Dall’antichità la Chiesa milanese ha venerato in modo speciale sant’Ippolito, iscrivendone il nome nel canone della Messa.